Noi siamo fiabe, siamo mito. Le storie parlano di noi, della nostra vita.
Gli avvenimenti dolorosi e traumatici delle fiabe e del mito si svolgono spesso in famiglia. Se noi continuiamo a ripetere e tramandare queste storie è perchè ci riguardano, ci invitano a metterci seduti, ad ascoltare con molta attenzione.
Qualcosa, nelle vicende del protagonista, ci attira, ci risuona, ci invita a seguire il processo di trasmutazione della coscienza, che si srotola lungo il percorso.
Il codice contenuto nelle fiabe è una grammatica narrativa dell'anima, una distillazione di emozioni, che pesanti come piombo, si trasmutano, portando alla luce qualità addormentate e rimosse, che alla fine risplendono come oro.
LE FERITE EMOZIONALI
Quando il bambino nasce è totalmente dipendente dall'accudimento di un adulto. Questa condizione genera in lui una istintiva propensione a garantirsi la sopravvivenza sviluppando l'attitudine dell'attaccamento verso coloro che gli possono garantire il soddisfacimento dei suoi bisogni primari nutrimento, protezione, accudimento e affetto.
In quel periodo della vita possono accadere alcuni episodi che vengono percepiti dal bambino come minacciosi per la sua sicurezza e sopravvivenza non solo a livello fisico, ma anche e soprattutto a livello relazionale ed emozionale.
La sua più grande preoccupazione istintiva è quella della sicurezza, protezione e sopravvivenza.
Le varie esperienze in cui il bambino percepisce una qualche minaccia e prova una particolare sofferenza psichica ed emozionale, provocano in lui un primo imprinting (una registrazione) che viene chiamata ferita emozionale.
La diversa modalità con cui tale sofferenza viene percepita dà origine a una specifica ferita emozionale.
Le ferite emozionali sono sei:
- rifiuto
- abbandono
- tradimento
- umiliazione
- ingiustizia
- indifferenza
Ogni ferita, a sua volta, è all'origine di un particolare meccanismo comportamentale di protezione, istintivo e automatico, che ha lo scopo di evitare di rivivere quella stessa sofferenza e che si attiva, durante tutta la nostra vita, ogni qualvolta accade un evento che percepiamo e interpretiamo con un significato analogo a quello della prima registrazione.
Nell'età adulta, questi meccanismi si rivelano limitanti per l'individuo, facendogli percepire una sua irreale vulnerabilità e intrappolandolo in modalità relazionali ripetitive e vincolanti, che gli impediscono di maturare le sue piene potenzialità di adulto libero, consapevole e responsabile, in grado di relazionarsi con gli altri esseri umani in modo profondo e autentico.
La ferita del rifiuto fra le ferite emozionali, ha le radici più antiche nella vita di un individuo, perché può manifestarsi già nel grembo materno, come riconosciuto dalla psicologia prenatale. Nel caso in cui la madre, dopo aver scoperto di essere rimasta incinta, esprima inizialmente, sia a livello verbale che emozionale, una reazione di contrarietà, questa diviene quasi una sentenza di condanna emessa sul nascituro, ed egli a livello istintivo la percepisce ancora prima di affacciarsi sulla scena del mondo.
Nella percezione sottile del bambino, quest'atteggiamento di rifiuto potrà essere interpretato come un rigetto assoluto e una minaccia alla sua stessa sopravvivenza, creando in lui le basi di una fondata angoscia esistenziale, che lo accompagnerà per tutta la vita. Nei casi di tentato aborto, la minaccia di morte è reale poiché coincide con la pratica, non riuscita, di porre termine alla gravidanza; in questo caso tale esperienza prenatale potrà conferire alla persona anche una incredibile forza d'animo, inducendo in essa una tendenza ad aggrapparsi alla vita nonostante tutte le possibili avversità dell'esistenza.
Spesso però non sono solo la madre o il padre a esprimere il proprio rifiuto nei confronti del nascituro, ma può anche accadere che siano le famiglie d'origine o l'intera comunità a farlo, per motivi sociali, culturali o religiosi, oppure è il medico curante che, allo scopo di tutelare la madre dalle complicazioni di una gravidanza a rischio, propone l'aborto terapeutico. In questo caso vi potrà essere la percezione di essere rifiutato da una terza persona che, con potere e autorità, dall'esterno, costituisce una minaccia alla propria sopravvivenza, portando nella vita del soggetto un'inconscia e compulsiva reattività nei confronti di quelle figure che in qualche modo hanno la stessa valenza simbolica (medici, insegnanti, sacerdoti, etc.)
Quando le esperienze di rifiuto sono in rapporto con la propria madre, ci potrà essere un'inconscia tendenza percepire una minaccia da parte delle persone di genere femminile, mentre se il rifiuto viene percepito dalla figura paterna, la persona tenderà ad adottare un atteggiamento difensivo nei confronti del mondo maschile.
Una ulteriore occasione di rifiuto o anche verificarsi quando il nascituro è di sesso diverso da quello desiderato da uno o entrambi i genitori; ancora oggi nelle famiglie più tradizionali, si tende a dare più valore alla nascita di un primogenito maschio, piuttosto che accogliere con gioia la nascita di una femmina. Questa condizione si imprime così profondamente nell'animo della persona che essa stessa si considera sbagliata o non sufficientemente desiderabile. Per esempio è possibile che una bambina crescendo, rinunci a manifestare le specifiche caratteristiche fisiche o comportamentali femminili che hanno causato, nella sua percezione, una reazione così ostile e pericolosa per la sua stessa sopravvivenza. Com'è facile intuire questa convinzione primaria riguardo la giustezza del proprio genere, influenzerà lo sviluppo della personalità, condizionando il suo orientamento sessuale e relazionale.
La percezione di non essere desiderato e voluto può influenzare anche l'immagine dell'essere bambino, tanto che colui che si sente rifiutato potrà rinunciare a vivere la propria infanzia cercando di assomigliare il più possibile agli adulti, sperando così di essere accettato.
Un'altra possibile reazione potrà manifestarsi, in età più adulta, come una tendenza alla fuga dalla vita stessa, magari rifugiandosi in mondi reali, o attraverso l'uso di sostanze, o dalle persone e circostanze da cui ci si sente rifiutati. Chi vive la ferita del rifiuto potrà anche avere la tendenza ad affermare il proprio diritto di esistere con un ossessivo bisogno di conferme da parte degli altri, provocando tuttavia, in loro, la stessa reazione di rifiuto che desiderava evitare. La ferita del rifiuto può anche spingere la persona ad adottare un atteggiamento o un comportamento di perfezionismo esistenziale attraverso il quale essa si illude di eliminare i possibili motivi di rifiuto da parte degli altri. In altre parole cerca di compensare le presunte carenze dell'essere, con il fare o il possedere. Un’ulteriore strategia di compensazione della ferita del rifiuto è la tendenza dell'individuo a sviluppare comportamenti compiacenti e seduttivi con i quali si garantisce l'accettazione e l'attaccamento del prossimo.
(Dal libro "I 4 passi", di A. Mantovani. S. Muraro, Ed. Punto d’incontro)
IN QUALI FIABE POSSIAMO RICONOSCERE LA FERITA DEL RIFIUTO?
Nella fiaba di Biancaneve, la matrigna, o in alcune versioni, la madre stessa, rifiuta la figliastra o la figlia, quando raggiunge l'età della giovinezza.
"Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?"
Lo specchio rimanda alla regina il suo dramma: lo scorrere del tempo, la perdita della giovinezza, il conflitto della successione, la paura della morte.
Qual è il divieto nascosto nella fiaba?
Tu non devi essere più bella (brava, ricca, amata, etc.) di me.
Tu non devi superarmi, non devi prendere il mio posto.
Nelle fiabe, come nella vita, ritroviamo questi copioni e ingiunzioni familiari e riconoscerli ci permette di rompere l'incantesimo: della ripetizione e dell'auto-sabotaggio.
Anche noi, come Biancaneve cerchiamo di essere accondiscendenti, servizievoli, perfette, diventando le cameriere dei sette nani?
Questo atteggiamento, strategia di sopravvivenza ha aiutato Biancaneve, Cenerentola, Vassilissa a salvarsi dalla matrigna e dalle sorellastre?
Oppure riusciamo a cogliere il messaggio nascosto tra le pieghe della storia?
Nella fiaba del brutto anatroccolo, il rifiuto viene dalla comunità.
Il peso ricade su una madre sola, accasciata, debole, che non è in grado di difendere il suo cucciolo.
Il rifiuto proviene da una diversità, percepita come un pericolo, in un contesto troppo irrigidito e convenzionale, dove non c'è spazio per l'originalità e l'unicità.
Anche qui troviamo uno specchio, d'acqua, che rimanda un'immagine.
Lo stesso specchio d'acqua del mito di Narciso, o dello specchio di Dioniso.
Ogni specchio rimanda qualcosa che è "oltre", qualcosa di invisibile, con cui confrontarci, riconoscerci, smembrarci, ricomporci.
Ogni specchio funge da zona di soglia, confine e contatto, con le nostre alterità non viste, non riconosciute, non accolte, non amate.
E l'incontro può essere devastante o salvifico.
Paola Biato